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Il foglio - I cinque sensi

I cinque sensi, e l'evoluzione in quercia del seme della quercia

 

Alessandro Schwed
13 novembre 2007

 

Versione Originale

 

Un altro scontro fra scienza e religione. E la scienza usa i dogmi della religione ela religione i teoremi della scienza. Se il solo vitto che viene passato è la ragione, mi domando che sarà del pensiero se non divenire pelle e ossa; dato che, come insegnava qualche decina di anni fa il Kabbalista Baal HaSulam, il pensiero è un esito del desiderio (Shamati 153). Ora, la ragione ha invaso i due campi. Il campo laico determina senza evidenza di prove che l’uomo non solo proviene dalla scimmia, ma è divenuto uomo per caso. Ciò va a colpire in modo sottile, ma non troppo, l’articolo che siamo fatti a immagine del Creatore, il che varrebbe a dire che Egli assomiglia a un gibbone. Tale terroristico postulato, frutto non della ricerca scientifica, bensì di cattive intenzioni, viene impugnato come una clava per chiudere la bocca a chiunque dica la parola premoderna Dio. La controparte spirituale è fragile, manca di una interpretazione non letterale della Torah, dunque essa si limita a far vedere che proprio la ragione usata dall’altro è piena di lacune. E allora, in modo speculare, direi consanguineo, le due parti in combattimento sono dominate da un’identica paura di essere scoperti con le mani sprofondate nel sacco sino ai gomiti. Il sacco fondo dell’errore.

Fede cieca contro fede cieca, cattedra contro cattedra. Potere contro potere. Ma io, che ora passo per questa pagina come fosse una strada, vorrei dire la mia; dato che vengo da altre strade dalle quali magari non siete ancora passati; e cioè che basta farsi attraversare lo sguardo dai rapporti di solidarietà esistenti in Natura, causa ed effetto di tutto quanto esista, per cogliere la nostra nascosta, e pur visibile, origine. E mi pare che l’attuale discussione sia solo lotta per quale dei due gruppi debba avere il sopravvento, e dunque non una discussione sulla verità, ma su chi debba cominciare ad avere paura di perdere la cattedra del mondo e lo sciame dei popoli. Paura, dunque. E la nostra povera vita appare del tutto collocata nella sfera della paura; paura che soccombano le nostre certezze su chi siamo, e come sia cominciata ogni cosa, e dunque anche come finirà, o continuerà, la nostra personale vita. Stanti così le cattedre, noi non conosciamo le nostre origini: noi le supponiamo, tramite la fede o la scienza, il cosiddetto mistero, o la cosiddetta teoria. Ma se tutti i sistemi di pensiero sono immessi nella ragione, e certo è così, dove si compie tutta questa logica che illustra le nostre origini, se a ogni generazione ripartiamo da capo? Si sentono sempre le stesse grida, o proclamazioni: veniamo da Dio! No, veniamo dal caso! Come se circa il nostro comune inizio – la scienza spirituale della Kabbalah la chiama Radice – non potesse esistere il supporto effettivo dell’esperienza diretta. Come se fossimo stati buttati quaggiù, senza strumenti. Soli, su un sasso che gira su se stesso.

Giunge, forte e sgradevole, la sensazione di esserci chiusi un giorno in una scatola dove è oggettivo ciò che invece è soggettivo; dato che odore, suono, sapore, vista e tatto con cui io sperimento, non sono i personali sensi da cui tu, amico, fai esperienza; e chi può veramente dire se io vedo lo stesso canarino che vedi tu? Ma anche ora che scrivo, la realtà mi parla con un insieme di voci e il mio desiderio è di vivere finalmente ciò che sento, non come evento predeterminato dalla claudicante dialettica: ma come qualcosa che solo io posso rinvenire e verificare, in una caccia personale i cui risultati si depositino in me come autenticissima prova; e dunque la conoscenza debba essere sperimentata per diventare articolo di verità.  Sento la realtà parlare. Essa mi racconta che un seme, indistinguibile da altri semi, diventi un giorno quercia. Eppure in ogni fase della sua evoluzione-crescita il seme, piantina, alberello, albero, appare oggettivamente come quanto si vede; e accade che chi veda un seme mentre è seme, o un virgulto mentre appare virgulto, possa giurare che essi saranno in eterno, oggettivamente, seme e virgulto – mentre il loro destino, oltre la ragione, è di quercia. Questo mi dice la realtà ogni giorno, e parla a un mio senso altro che ho dimenticato di avere. Vivo nella gabbia dei cinque sensi e non è da nessuno di loro che sento l’Insieme. Ma da un sesto senso, collocato non saprei dove, e vibrante.

Vivo in una scatola e ogni generazione torna appunto a definire la conoscenza a scatola chiusa. Noi non riconosciamo la scatola; non ne solleviamo il coperchio. E invece, potremmo guardare tutto.

Articolo tratto dal quotidiano Il Foglio, 13 novembre 2007

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