Gli ebrei sono bravissimi ad abbinare i piatti alle festività. Probabilmente Shavuot è una delle festività preferite di tutti i tempi, specialmente se si ama la cheesecake. Per qualche strana ragione però, è anche una delle feste che prendiamo più alla leggera.
È strano perché se osservassimo il tutto in maniera più approfondita, ci ricorderemmo che le festività ebraiche rappresentano le fasi del nostro progresso spirituale, e di conseguenza Shavuot acquisterebbe un significato maggiore. Con l’espressione “progresso spirituale”, non mi riferisco ad una qualche forma di misticismo, ma alla nostra capacità di amarci in maniera reciproca.
Shavuot indica il momento del nostro sviluppo durante il quale abbiamo ricevuto la Torah, la legge della dazione. Si tratta di una tappa fondamentale per realizzare la fase inclusiva, onnicomprensiva e finale del nostro sviluppo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Quando Rabbi Akiva disse che amare il prossimo come se stessi è una grande Klal (regola) nella Torah, non solo si riferiva ad essa come legge, ma anche come la Klal (somma totale, inclusione) dell’intera Torah. In altre parole, tutte le leggi della Torah portano all’obiettivo unico di amare gli altri come se stessi.
Se è così, possiamo sorprenderci del fatto di prendere alla leggera questa festa riducendola ad una sagra della cheesecake? Chi è disposto ad amare gli altri, e per di più ad amarli come se stesso? È contro la nostra natura.
Questo è vero, ma non abbiamo scritto noi la Torah e nemmeno abbiamo scelto di riceverla. Se avessimo vissuto ai tempi in cui ci è stata donata, probabilmente avremmo detto: “No grazie, donala ai Babilonesi, donala agli Assiri, donala ai Canaaniti, donala a tutti tranne che a noi”. Ma la leggenda vuole che gli altri popoli fossero talmente intelligenti da rifiutarla, secondo una barzelletta invece, quando Dio la offrì a noi, gli chiedemmo: “Quanto costa?”, e quando Dio rispose: “È gratuita”, abbiamo detto “Allora donacene due”.
Pertanto da allora siamo incastrati nel compito di essere una luce per le nazioni. Noi non vogliamo farlo, né capire cosa questo significhi. Qualsiasi cosa dovessimo fare, il mondo è pieno di risentimento per il nostro non fare, e una forza nascosta, con la quale non vogliamo avere nulla a che fare, sta orchestrando le cose in modo che ci incolperanno di tutto ciò che è sbagliato nel mondo. In fondo, tutto ciò che vogliamo è vivere in pace dietro una staccionata e al volante di un SUV.
Ahimè, come diceva John Lennon “La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati in altri progetti”. In un mondo dove ognuno dipende da tutti gli altri col termine amorfo di “globalizzazione”, non possiamo far finta di vivere su un’isola tutta per noi. Senza dubbio potremo avere una vita fantastica, ma solo se anche tutti gli altri la avranno. La responsabilità reciproca, per cui il nostro popolo era famoso ai tempi dei cammelli e delle tende, deve essere estesa al resto del mondo ai tempi della Camry e delle case One-Family.
Il mondo ha bisogno di responsabilità reciproca e non riesce a trovarla da nessuna parte. Siamo diventati così alienati ed egocentrici che prendiamo antidepressivi per andare avanti, preferiamo “distruggere” gli Angry Birds e cose simili per intorpidire le nostre menti, oppure ci rivolgiamo al fondamentalismo nella disperata ricerca di un significato.
Ma non c’è alcun significato nell’isolamento, esso si può trovare solo nelle relazioni umane. La prima cosa che facciamo quando ci accade qualcosa di buono è raccontarla ai nostri amici, e anche quando ci accade qualcosa di brutto la prima cosa che facciamo è cercare qualcuno che ci aiuti; siamo esseri sociali fisicamente, emotivamente e mentalmente. Naturalmente, la nostra integrità spirituale dipende dalla nostra connessione.
Il trucco di questa integrità spirituale attraverso la connessione, però, è la capacità di unirsi al di sopra delle differenze. Noi siamo unici e vogliamo rimanere tali, così ci definiamo, il problema è che usiamo la nostra unicità per ottenere un vantaggio sugli altri. Con questo, neghiamo a noi stessi l’arricchimento e la forza che potremmo ricevere dagli altri, mentre sprechiamo anche una grande quantità di energia per cercare di proteggerci da loro. Invece di rafforzarci a vicenda, siamo impegnati a distruggerci.
Chissà cosa potremmo ottenere se riuscissimo a rovesciare questa mentalità e ad applicare la nostra unicità per il bene comune?
Gli antichi Ebrei lo avevano capito benissimo, ed è ancora lì, tanto nascosto sotto gli strati dell’egocentrismo non riusciamo a rilevarne la presenza. Così come gli strati di sporco che bisogna togliere scavando nei siti archeologici, dobbiamo eliminare gli strati di egoismo e riscoprire l’abilità di connetterci con responsabilità reciproca.
Al mondo serve un esempio, un modello per realizzare l’amore verso gli altri, fino a che non assolviamo il compito e diventiamo quel modello, le persone continueranno ad eliminarsi a vicenda.
Shavuot simboleggia il momento in cui si accetta il compito con tutto il cuore, non perché sia facile, ma perché è giusto farlo. E già che ci siamo, va benissimo anche prendere una fetta di cheesecake.