“Devi sapere, figlio mio, che il Faraone, re d’Egitto, è proprio l’istinto malvagio”.
Il Rambam, Lettere del Rambam
L’Egitto non è ciò che si pensa. Quando i kabbalisti parlano dell’ “Egitto” non si riferiscono al nostro vicino del Sud e neppure all’antica dinastia dalla quale ce ne siamo andati in una calda notte 3.300 anni fa. “Egitto” è il concetto che descrive quella forma di esistenza egoistica che indirizza tutte le nostre attività e tutti i nostri pensieri in questo mondo che si basa sul desiderio di provare piacevolezze in tutti i modi possibili, persino a danno del prossimo e che ha raggiunto nel XXI secolo il proprio apice.
L’unica vera schiavitù è la schiavitù dall’ego, e nostro compito è trovare un modo per vincerlo. Il metodo rivelatoci per la prima volta dal nostro Maestro Moshè sul Monte Sinai è quello di cui in questo momento abbiamo maggiormente bisogno.
Se lo vorrete, questa non è una leggenda
Sinceramente, per molti di noi, il Seder di Pesach si riassume in: “volevano annientarci, li abbiamo vinti ed ora proseguiamo con la cena!” L’aggadah di Pesach racconta che i nostri padri scesero in Egitto a causa della carestia esistente nella terra di Canaan. All’inizio condussero in Egitto una vita agiata ma poi gradatamente le cose cambiarono e scoprirono che il Faraone amareggiava la loro vita: Il suo dominio era così forte da impedire ai nostri padri di sottrarsene. Essi supplicarono il S-gnore di liberarli dalla schiavitù, dall’oppressione e dal duro lavoro, renderli liberi. Fin qui il riassunto della nota storia. La Kabbalah ci svela il significato interiore del fatto storico che è opportuno conoscere.
Dietro le quinte della realtà
Se osservassimo la nostra vita da un’altra angolatura, scopriremmo che ciò che ci spinge a svolgere attività diverse nella nostra vita è la volontà di ottenere piacevolezze e soddisfazione. Cambiamo posto di lavoro, automobile, viaggiamo all’estero, o mangiamo in un buon ristorante per trarne appagamento. La nostra natura, l’ego, è ciò che ci spinge a perseguire sempre nuove soddisfazioni per colmare noi stessi. Il problema è che il piacere per ogni cosa a cui tendiamo, svanisce dopo breve tempo. Nell’anelito di raggiungere il piacere sperato, noi ci imbattiamo nei desideri di altre persone che ci infastidiscono, creando conseguentemente degli attriti. Questo succede in famiglia, sul posto di lavoro ed anche a livello politico e mondiale.
Schiavi eravamo
La ricerca continua del piacere ci indirizza verso un altro piacere e la sensazione di vuoto è ogni volta maggiore quando otteniamo ciò che abbiamo voluto. Questa storia ci è nota: quanto noi bramiamo a comprare un’automobile nuova, uno smartphone di ultima generazione, un vestito di nuovo modello ecc., dopo aver concretizzato il nostro desiderio, la sensazione ed il piacere si volatilizzano fino a che non rimane più nulla.
Oggi, esattamente come nella storia biblica, anche noi iniziamo a patire la fame, una sorte di vuoto come quella. Anche ai giorni nostri siamo schiavi del “Faraone, re d’Egitto”. Siamo schiavi dell’ego che ci sospinge a perseguire un piacere dopo l’altro per riempire noi stessi, amareggiandoci la vita.
E sorse un nuovo re
La discesa verso l’Egitto è sempre caratterizzata da una sequenza prevedibile di fasi. All’inizio la vita non sembra niente male: l’ego ci aiuta a vivere, a fiorire, a trovare soddisfazione dal punto di vista materiale e di godere della vita. Improvvisamente, proprio nel momento in cui raggiungiamo l’apice del successo e della prosperità, ci sentiamo pervadere da un senso di vuoto e la vita si rivela priva di scopo. Questa sensazione continua fino a che un giorno, dal nulla affiora in noi una caratteristica nuova: “Moshe'” grazie alla quale scopriamo di essere schiavi della nostra natura egoistica. È scritto: “E sorse un nuovo re in Egitto” (Shemoth/Esodo 1,8), un faraone tiranno che ci riduce in schiavitù e si palesa che quanto abbiamo conquistato fino ad ora in pratica appartiene al re, all’ego. “Moshè”, oltre all’acquisizione di questa consapevolezza, ci offre un’apertura ad una nuova speranza, mostrandoci che esiste un modo per vivere diversamente la vita.
Le dieci piaghe
La qualità di “Moshè” risveglia in noi la sensazione che esiste una vita diversa e bella “fuori dall’Egitto”, che permetterebbe di superare ciò che l’Egitto offre. L’israeliano insito in noi (Israel, dai termini Iashar – kel, la volontà di essere diretto verso D-o, verso il Creatore) inizia a lottare contro l’egiziano che è in noi, contro il nostro ego. Di conseguenza, sul faraone iniziano ad infierire le piaghe.
Dopo ogni singola piaga il cuore del faraone si irrigidisce. Dopo ogni piaga si rafforza il suo potere e solo quando la natura oppressiva del faraone giungerà al massimo questo farà si che l’uomo vorrà liberarsi dal suo giogo. È questo il motivo per cui davanti ai reiterati tentativi di Moshè, il faraone si rivela sempre più restio e contrario all’uscita di Israele dall’Egitto, da quello che è il suo dominio.
Superare l’ego
Solo dopo che l’ego, ovvero il faraone, è stato sottoposto alle dieci piaghe, nasce in noi la necessità di “uscire dall’Egitto”, dall’ego. Ci lamentiamo del lavoro e supplichiamo il S-gnore che ci salvi. Solamente il Creatore che ci ha creati “schiavi”, può liberarci dal potere dell’ego, liberarci dall’ “Egitto”. Questo è il vero significato della Festa della Libertà: l’uscita dall’Egitto, da un luogo di schiavitù dell’ego, verso la libertà.
Mai come oggi, l’uscita dalla schiavitù d’Egitto è stata così vicina, ed abbiamo l’opportunità di affrettarne i tempi. Quando saremo liberi scopriremo davanti a noi un modo diverso di vivere la vita, una vita questa all’insegna dell’unione, della fratellanza, della pace e dell’uguaglianza a tutti i livelli: personale, sociale e mondiale.