CATEGORIE
NEWSLETTER DI KABBALAH

Aggiornamenti gratuiti, articoli e video esclusivi.

E-mail:

Ho letto l’informativa sulla privacy e trattamento dati.

Dichiaro di essere maggiorenne.

 
Aggiornamenti gratuiti, articoli e video esclusivi.
NAVIGAZIONE
BIBLIOTECA KABBALAH

L’argomento dazione (art.16)

Chiariamo l’argomento della dazione.

Quando un uomo serve una persona, considerata importante agli occhi del mondo, quest’ ultimo non è obbligato a retribuirlo per il lavoro svolto, in quanto è (già) rilevante servire una persona importante e questo, di per sé, è come se lo avesse retribuito. Vale a dire che, se egli sa, che si tratta di una persona notevole, egli è già ricompensato per essere stato utilizzato e non deve ricevere una ulteriore soddisfazione, poichè il suo godimento proviene dal fatto stesso di servire.

Cosa che invece non succede con una persona semplice; in quel caso egli non ricaverà nessun piacere nel servire e dovrà, quindi, essere ricompensato. Mentre, per lo stesso utilizzo, se concesso ad una persona importante, egli non è obbligato a retribuirlo.

Per esempio, arriva con un aereo una persona importante, in mano ha una piccola “Mesuza” (valigia) e molte persone attendono il suo arrivo, l’uomo importante porge la sua valigia a qualcuno perché la posi nella sua macchina, con la quale ripartirà per tornare a casa; diciamo che vorrà ricompensarlo con 100$, certamente quest’ultimo rifiuterà di ricevere (tale somma) da questa persona, per il solo fatto che ha già ricevuto un piacere (retribuzione) maggiore del valore dei cento dollari che gli vengono offerti.

Mentre se si tratta di una persona semplice, in quel caso neanche dietro compenso lo servirebbe, ma gli direbbe che “ci sono qui dei facchini e potranno posare la valigia in macchina, per me servirti non è decoroso; dato che questo è il mestiere dei facchini, se darai loro un compenso, saranno felici di servirti”.

Si deduce da ciò che, per la stessa azione da lui compiuta, secondo per chi egli compie l’azione, risulta una differenza e una distinzione enorme. Se egli compie l’azione per una persona importante, e ciò dipenderà solamente dall’importanza conferita dalla sua sensibilità alla persona, (cioè) cosa prova egli di fronte la grandezza di un uomo importante. E non è rilevante, se egli capisce che si tratta di un uomo importante, oppure se il suo ambiente lo considera una persona tale, ( nei due casi) egli avrà in sé, già la forza (necessaria) per servirlo, non gli occorrerà nessun compenso, come suddetto.

E secondo tutto ciò che è stato già ribadito su tale argomento, occorre comprendere qual’è la vera intenzione dell’uomo che serve una persona importante. Se il suo intento, è quello di provare piacere nel servirlo, e (quindi) il fatto di servirlo è per lui una gratificazione importante, oppure se il semplice fatto di servirlo gli procura piacere. Egli non sa da quale fonte proviene il suo piacere quando serve una persona importante. Stà di fatto che per lui è una cosa naturale, ha l’occasione di (provare) un grande piacere, perciò vuole essergli utile.

Questo vuol dire che nelle sue intenzioni (distingue), se tale persona è importante ed in quel caso vorrà allora che la persona in questione riceva un certo piacere. Oppure vuol servirlo perchè egli stesso se ne rallegra. Vale a dire che, se egli potesse ricevere lo stesso appagamento che prova servendolo, tramite alti mezzi, in quel caso rinuncerebbe a tale servizio. Poiché vuole servirlo solo perché da ciò può ricavare una certa pienezza ed è per questo che lo serve.

Ma la questione è se il servizio è dato perché vuole procurare piacere alla persona importante, il fatto di essere appagato dal servizio reso è soltanto un esito e l’intenzione non è rivolta  a sè ma solamente ad arrecare grande piacere alla persona importante, oppure se veramente le sue valutazioni non sono in funzione della persona importante, ma in funzione del piacere che egli può ricevere da ciò.

E se chiedessimo, che ricavo egli ne riceve? Con quale intenzione agisce? la risposta andrebbe ricercata nella conoscenza del significato “kli de hashpaa’” (vaso della dazione).

Troviamo tre distinzioni nell’azione della dazione:

1) Egli è impegnato in faccende riguardanti la dazione verso il prossimo, sia con il proprio corpo e sia con il proprio denaro, (e questo) per ricevere in cambio un compenso, vale a dire, egli non si accontenta del piacere che gli procura l’uso che fa di sé, ma vuole in cambio che gli venga data una seconda cosa. Per esempio vuole, in cambio del suo lavoro, ricevere onori e solo in vista di ciò trova le forze (necessarie), mentre invece, se non fosse certo di ricevere in cambio onori, in quel caso non farebbe ciò che (ora è pronto) a compiere a favore del prossimo.

2) Egli si impegna in cose che riguardano la dazione al prossimo e non desidera ricevere nessun compenso per il suo lavoro. Cioè una cosa non vale l’altra, ma egli è (già) appagato del fatto che compie azioni di dazione. E, per sua natura, si compiace di compiere buone azioni per gli alti.

Questo è certamente un gradino più alto del primo e, da ciò, possiamo vedere che egli compie azioni con l’intento di procurare piacere agli altri. Dobbiamo nominare ciò come “donare  per donare”.

Se vogliamo, però, approfondire un pò la cosa, esaminiamo, qual’è il suo vero intento nel fatto di donare agli altri; se egli compie tutte queste azioni perché vuol essere appagato, il che vuol dire, amore per il proprio sè, dato che per sua natura si compiace di atti di donazione; oppure se il suo intento è quello di godere del fatto che gli altri ricevano cose buone. Ciò significa che egli è appagato della gioia degli altri, perciò si adopera  perché quest’ultimi ricevano un certo benessere e possano godere della loro vita.

E se per caso scorge che qualcun’altro, per esempio qualcuno della sua città, vuol compiere gli stessi atti, ed è anche più capace di lui, in quel caso egli è pronto a rinunciare al proprio piacere, malgrado il piacere che gli atti di donazione gli procurano, e si adopererà affinché l’altro compia gli atti in questione.

Mentre, certamente, se questa persona si adopera in atti di donazione senza chiedere nessuna ricompensa per il lavoro svolto, ed egli, pur sapendo che l’altro è più abile, tuttavia non è pronto ad accettare che l’altro compia gli atti di donazione a favore dei suoi concittadini, in questo caso non si può dire che ciò si chiama “donare per donare”, poiché infine, ciò che è risolutivo in lui, è l’amore per il proprio sé.

3) “Colui che lavora” per non ricevere nessun compenso, anch’egli vede che vi è qualcuno più abile, ma rinuncia al proprio piacere di donare agli altri, e si preoccupa solamente del bene del prossimo “Ciò si chiama” dona per donare

In tal caso, vi è qui una grande distinzione che occorre chiarire, cos’è veramente l’intenzione?

Se egli vuole essere (solo) appagato e, perciò, lo serve oppure se il suo intento ed il suo desiderio è quello di procurare benessere ad una persona importante.

E per comprendere suddetta distinzione, si può spiegare il fatto, con l’immagine con cui un uomo potrebbe tratteggiare se stesso. Essendo questi una persona molto importante è ovvio che vuole compiacerlo per rallegrarlo. Perciò vuole servirlo. Ma, compiendo per costui il servizio, prova gioia e piacere e sente che tutti i piaceri che egli ha provato nella sua vita e che prova ora, non hanno nessun valore in confronto a ciò che prova adesso in quanto sta servendo la persona più importante del mondo, e non ha parole per esprimere la sua soddisfazione del fatto di desiderare di arrecare gioia ad una persona importante.

Ed ora egli può esaminare se stesso, il suo intento, il fatto di desiderare e rallegrare una persona importante. (Oppure) Se egli si preoccupa del proprio tornaconto, cioè, se il fatto di volerlo soddisfare è in ragione del piacere che ne ricava? Oppure, tutto il suo intento, invece, è quello di compiacere la persona importante al fine di arrecargli gioia dato che l’importanza della persona risveglia in lui un grande desiderio, quello di servirlo.

Perciò, anche mentre serve, egli prova un grande piacere, quello che si prova rendendosi utile; tuttavia, se egli viene a  sapere che vi è qualcuno che, se servisse la persona importante, quest’ultimo ne ricaverebbe un piacere maggiore, egli allora rinuncia al proprio godimento, a quel piacere che potrebbe ricavare nel servire e sceglie volentieri che sia l’altro a compiere il servizio, a affinché la persona in questione tragga un maggiore beneficio di quello che riceverebbe se fosse invece lui a servirlo.

Ne deduciamo che egli rinuncia a servire, pur provando un immenso piacere del proprio servizio e, con tutto ciò, rinuncia a favore della persona importante perché questi  possa godere maggiormente, non pensando quindi a se stesso.

Questo si chiama, che egli non ha nessun intento di beneficiare se stesso ma è tutto rivolto verso la dazione, senza prendere in considerazione se stesso.

Allora egli avrà la completa chiarificazione, che non può abbindolare se stesso (non e’ capace di mentire a se stesso). “E ciò si chiama” dazione completa.

Occorre, però, sapere che l’uomo non può raggiungere ciò con le sue proprie forze. Su ciò fu detto “la natura malvagia dell’uomo prende il sopravvento su di lui ogni giorno ed egli cerca di distruggerla” e fu detto “il malvagio guarda il giusto e cerca di distruggerlo”. E se il Creatore non venisse in suo aiuto, egli non riuscirebbe a prevalere sulla sua natura malvagia. Come fu detto, “il Creatore non ci abbandonerà nelle sue mani”. ( Kiddushim –let. Lammed).

Ciò vuol dire che l’uomo deve vedere in anticipo (prevedere) se possiede le forze (necessarie) per arrivare a compiere azioni il cui intento è quello di deliziare il Creatore. Ed allora, quando sarà arrivato alla consapevolezza che le sue forze non gli permettono di raggiungere ciò, a quel punto l’uomo concentrerà la sua Torà ed i suoi Precetti su un solo punto, ed è “la luce che perviene (e) lo rende migliore” e questo sarà tutto il compenso che egli si aspetterà di ricevere dalla Torà e dai Precetti, cioè che la ricompensa della sua “ighiia” ( il suo faticoso lavoro spirituale) si adempierà con la forza chiamata “forza della dazione” concessa dal Creatore.

Dato che vi e’ un principio secondo il quale “chi dà una qualsiasi “ighiia” (chi si sottomette ad un qualsiasi duro lavoro spirituale), vuol dire che annulla il suo riposo per il (semplice) motivo che desidera qualcosa, sapendo che senza la “ighiia” non gli verrà concessa, quindi deve “lehitiiaghea” (lavorare spiritualmente e faticosamente). Malgrado tutto ciò, chi “mitiiaghea” (lavora spiritualmente duramente) per attuare la Torà ed i Precetti, a lui manca certamente qualcosa.

Perciò lavora duramente, attuando la Torà ed i Precetti, per raggiungere, in questo modo, il suo desiderio.

Secondo tutto ciò l’uomo deve prestare un pò della sua attenzione e un pò del suo senno, prima ancora di iniziare il suo lavoro “il lavoro di Dio” (la ricerca spirituale di Dio), che cosa desidera? Cioè, quale gratificazione vuole (ricevere) in cambio del suo lavoro? Oppure, diciamo in modo più semplice, qual’è il motivo che lo costringe ad occuparsi della Torà e dei Precetti?

Ed allora, quando medita su questa cosa, cioè sulla comprensione di cosa gli manca e (sul fatto) che deve lavorare duramente per (raggiungere) questa cosa, allora l’uomo comincia ad avere molti pensieri (molte risposte), fino al punto che gli sarà difficile sapere cosa desidera.

Perciò vi sono molte persone che, quando cominciano a pensare per quale fine lavorano, non riescono a stabilire qual’è il vero fine ed allora (arrivano) a dire: “perché dovremmo faticare in pensieri di ricerca ?” ( perche’ dovremmo interrogarci?) ed allora lavoreranno senza un fine, e diranno: “lavoriamo per il mondo dell’aldilà. E cos’è l’aldilà? Perche dovremmo pensarci? Dobbiamo credere soltanto che è una cosa buona e questo ci basta. Quando riceveremo la ricompensa dell’aldilà allora sapremo che cos’è. Perchè dovremmo entrare in (tante) investigazioni?” soltanto alcuni, dicono (invece) che c’è un punto (importante) ovvero l’equivalenza con il Creatore. E, per conseguire l’equivalenza con il Creatore, si deve raggiungere l’equivalenza della forma, cioè “quanto Egli è misericordioso, tanto voi sarete misericordiosi”. Ed allora inizierà lo sforzo di raggiungere l’equivalenza della forma, affinché tutte le sue azioni siano nella distinzione della dazione, perché solo allora è possibile sormontare la restrizione e l’occultamento che esiste nel mondo, che ad esso è dovuto, ed iniziare a percepire la Santità.

Però appena inizia il suo lavoro per conseguire il gradino della dazione, allora egli vede (si rende conto) che è molto lontano da ciò. Che non riesce sia nella volontà, sia nelle parole e sia nelle azioni a rivolgere il suo intento verso la dazione. Allora non sa che fare per conseguire la forza della dazione. Ogni volta che accresce le forze, vede che tutto ed oltre dipende (solo) da Lui. Fino a che arriva alla consapevolezza che non potrà mai arrivare a ciò, a tale realtà, perché non rientra nei limiti umani. Allora raggiunge la consapevolezza che il Creatore solamente puo’ aiutarlo, come detto in precedenza. E soltanto allora capisce che deve impegnarsi nella Torà e nei Precetti per essere ricompensato. E la sua ricompensa, quella per cui lavora così duramente, è quella per la quale il Creatore gli darà la forza della dazione. Questo è il compenso nel quale spera, poiché vuole raggiungere l’aderenza al Creatore che è la distinzione dell’equivalenza e che (a sua volta) è la distinzione della dazione.

E questo e’ tutto il suo compenso, quello su cui egli confida; quindi, sul fatto della sua “ighiia” (lavoro spirituale) nella Torà e nei Precetti, egli spera che gli venga dato qualcosa che egli non può raggiungere da sé; ma occorre che sia un altro a dargli. Come avviene tramite la via della “ighiia” (nel mondo) della materia, dove egli non può procurarsi il danaro (rivolgendosi) a se stesso, perciò è costretto a “dare ighia” (lavorare duramente) ed in questo modo egli riceve il danaro. Così (anche) nella spiritualità, quello che egli non può conseguire con le proprie forze, occorrerà (dunque) che qualcuno gli lo dia, e questo noi lo chiamiamo “compenso”.

Perciò, quando un uomo desidera raggiungere la dimensione della dazione, in quanto desidera raggiungere l’aderenza al Creatore. Ed a tale dimensione non egli non può arrivare ma occorre che questo sia dato dal Creatore. Ed è ciò che egli vuole: che gli venga dato ciò che si chiama “compenso”.

E poiché vi è un principio per cui “se si vuole un compenso, occorre dare ighiia” (lavorare duramente), perciò egli attua i Precetti e la Torà, affinché questo “compenso” chiamato la “forza della dazione” gli venga concesso, che vuol dire, liberarsi dell’amore di sè e ricevere le forze per impegnarsi solo nell’amore del prossimo.

Ed è ciò ciò che fu detto “per sempre dovrà impegnarsi nella Torà e nei Precetti (anche) ‘non in Suo nome’, tramite ‘non in Suo nome’ si consegue ‘in Suo nome’, poiché a Luce lo perfeziona” vale a dire come già detto: Mediante la “ighiia” della Torà e dei Precetti raggiungerà ‘in Suo nome’ e, così, arriverà al gradino ‘in Suo nome’, avendo egli precedentemente lavorato duramente. Quindi ottiene la “Luce che perviene e perfeziona”. E si chiama, forza della dazione che dal cielo gli viene concessa.

Però c’è da chiedersi, perché deve anticipatamente “lehitiaghea” (logorarsi) e (soltanto) successivamente gli viene data la Luce della Torà? Perché non gli viene data immediatamente la Luce della Torà? E (perché) non ricevere istantaneamente la perfezione? E perché “lehitiaghea” (lavorare duramente) riversare le proprie forze inutilmente e perdere anche tempo inutilmente? Eppure sarebbe molto meglio se gli fosse concessa la Luce all’istante, all’inizio del suo lavoro; vale a dire, ricevere immediatamente la Luce e prontamente iniziare il lavoro ‘in Suo nome’.

La questione è che “non vi è Luce senza Kli (vaso)”; ed il “Kli” si chiama desiderio. Cioè, l’uomo che prova il “hisaron” (la mancanza) ed il desiderio di colmare tale mancanza, si chiama “Kli” (vaso). E solo allora, quando é in possesso del “Kli”, cioè il desiderio di un certo “riempimento” (desiderio di essere colmato), allora sarà pertinente (opportuno) dire, che gli viene dato il “riempimento” (gli viene concesso di essere colmato) ed egli sarà soddisfatto del “riempimento” che gli è stato dato. Poichè questo è ciò che desiderava. Ed il “compenso” si chiama “riempimento”.

Egli riceve il desiderio in assoluto, ed ancor più nella misura dell’importanza del “riempimento”; è in ragione del desiderio e dell’intensità dei tormenti vissuti, (quindi) nella stessa misura egli gioirà del “riempimento”.

Malgrado tutto ciò, non è possibile dare all’uomo la Luce che lo riscatterebbe quando egli non prova nessun desiderio per tutto questo, dato che il perfezionamento vuol dire, perdere l’amore di sè e, se gli venisse detto “lavora, e per questo lavoro non riceverai più il desiderio di amare te stesso”, questo non sarebbe considerato dall’uomo un “compenso”. Ma, al contrario, l’uomo penserebbe allora che, in cambio del lavoro svolto per il padrone, gli sia stato fatto un torto invece di ricevere una cortesia per il suo duro lavoro. Fino al punto di perdere in un attimo tutto l’amore per sé; e chi accetterebbe ciò?

Perciò l’uomo deve precedentemente imparare (a conseguire) ‘in Suo nome’ ed in tal modo troverà un aiuto da parte del corpo, in quanto l’uomo è disposto a rinunciare ad un piccolo piacere per ricevere uno più grande. Ed in funzione della (sua) natura l’uomo non può figurarsi un piacere che non sia fondato sulla base dell’amore per sè.

Perciò gli vien detto che, attuando la Torà ed i Precetti, egli riceverà la ricompensa. E questa non è una menzogna. Egli certamente riceverà la ricompensa.

Cioè si dice che tramite la “ighia” (lavoro spirituale) nella Torà e nei Precetti, egli riceverà la ricompensa e questa è una verità. Certamente riceverà una ricompensa, ma la ricompensa cambierà.

Perché ad esempio il padre dice a suo figlio, se farai  il bravo, ti comprerò un automobile, quella con cui giocano i bimbi, l’automobilina di plastica. Il padre in seguito parte per l’estero e torna dopo alcuni anni. Il figlio è già grande e rivolgendosi al padre gli dice “padre tu, prima di partire per l’estero, mi avevi promesso un auto, un automobile di plastica”. Il padre allora va e compra, al posto di quella, un’auto vera, con la quale può raggiungere luoghi lontani. Allora il figlio, essendo già in età di comprendere, capisce che ormai non è più opportuno (avere) un automobile di plastica ma un auto vera. E’ il caso di dire che il padre lo ha ingannato?

Certamente no. Ma il figlio vede (capisce) ora, che quando era ancora piccolo non poteva comprendere altrimenti, e certamente (allora poteva capire) solo (se si fosse trattato) di una ricompensa “senza  valore”.

Anche in questo caso, si inizia con una ricompensa “senza valore”, chiamata “non in Suo nome”, vale a dire che egli si aspetta di ricevere una certa ricompensa che non ha nessun valore in confronto alla vera ricompensa. Ed (in seguito), si riceverà, o meglio conseguirà “in Suo nome”, che (in definitiva) è un Kli dal quale si possono ricevere le gioie ed i piaceri che il Creatore vuole dare e che sono le vere delizie.

Da cio’ si deduce che dire che lavora “non in Suo nome”, poiché riceve un compenso, questa “è una verita”. Vale a dire, anche se nelle sue intenzioni vi è il desiderio di donare, tuttavia egli riceve un compenso. E qui tutta la menzogna è nel compenso stesso. Poiché l’uomo, quando si trova (ancora) “non in Suo nome”, pensa ad un altro compenso che gli sarà dato. Ed il “Kli” (vaso di ricezione), si chiama “amore di sé”.

Cosa invece che non avverrà in seguito, quando l’uomo, crescendo, comincia a capire che sono principalmente i “Kelim” (vasi) quelli che ricevono il compenso. E precisamente nei vasi di dazione; appunto in quei vasi si ricevono le vere gioie e delizie. Ed allora egli sente di essere l’uomo più felice sulla terra. Dunque non si tratta del compenso che si aspettava, quando era ancora nel “non in suo nome”, quando era in grado di ricevere solo un compenso adatto ad un bambino.

Coerentemente a questo, quando gli viene insegnato, (tramite) “in Suo nome”, a ricevere piaceri e compensi per il proprio lavoro, ciò non si chiama “menzogna”, poiché egli non ha perso niente, in quanto viene scambiato un piccolo compenso con uno più grande; ma occorre chiarire, che “non in Suo nome”, cioè questa (forma) di compenso, non è il (suo) vero nome, come egli crede, ma che il compenso ha un altro nome (diverso) da quello da lui  valutato. Però il compenso rimane un compenso, non si cambia il compenso, si cambia solo il nome del compenso; cioè, dal “compenso menzognero ed immaginario”, al “compenso veritiero”.

E dal suddetto ne consegue che, l’essenza di quello che l’uomo deve ricevere in cambio della sua “ighia” (del suo faticoso lavoro spirituale) nella Torà e nei Precetti, è di ricevere  dal Creatore  i “Kelim” (vasi) della dazione, cosa che l’uomo da sè non può conseguire, dato che essi sono in contrasto con la Natura; però questi sono un dono (concesso) dal cielo. Questo è il suo compenso, quello che sempre si augurava “quando sarò capace di rallegrare il Creatore” e poiché si auspicava questo compenso, questo si chiama “il suo compenso”.

E, per capire il suddetto, bisogna studiare l’introduzione generale del libro “Panim masbirot” (tad. lett. faccia cordiale) (trad. libera “il libro che affabilmente esprime ed interpreta”) lettera Ghimel, Dalet-Hei e “Dalet Ain” dove è scritto “la radice del buio è il ‘Masah’ (lo schermo) senza ‘Malhut’; e la radice del compenso proviene dalla Luce riflessa che si crea con il “zivug deaccahà” (unione con la Luce diretta che viene rinviata)”.

Egli dà il nome alla radice di tutto ciò che vediamo in questo mondo. Vale a dire che, tutto ciò che vediamo in questo mondo, sono tutti rami generati dalle radici dei Mondi Superiori. E dice inoltre “la radice della “ighia” (duro lavoro), ciò che l’uomo risente in questo mondo, è originato dallo schermo del ‘Kli Malhut’ “. Questo vuol dire che il “Kli”, quello in possesso delle Creature chiamato “desiderio di ricevere delizie”, è ciò che ha creato il Creatore, poiché il suo desiderio è quello di deliziare le sue Creature. Perciò creò il desiderio di ricevere delizie. Questo si chiama “Malhut” delle sfere Superiori.

Ed in seguito appuriamo che si è verificato il fatto del “zimzum” (restrizione), il cui significato è che egli non vuole essere colui che riceve, poiché desidera l’equivalenza della forma con il Creatore. Per cui si genera un principio, nella Santità, con il quale non si può riceve nessuna cosa senza che questa sia diretta verso la dazione.

Questo è il fatto del “ticun” (perfezione ) del “masah” (schermo); trattandosi di Luci Superiori, il fatto che non si desidera ricevere la Luce, viene chiamato “masah” (schermo). Come nel caso di un uomo, quando la luce del sole illumina fortemente la casa ed egli non desidera la luce del sole, allora usa una tenda od uno schermo perché (i raggi) del sole non illuminino la casa.

Perciò, quando si parla di Luci Superiori, quando “Malhut”, pur desiderando enormemente ricevere la Luce delle delizie, tuttavia rinuncia a questo piacere e non lo riceve, perché desidera l’equivalenza della forma che si chiama “ighia”; Egli fa qualcosa che non desidera affatto fare, vale a dire, impedisce a se stessa di ricevere le delizie.

Ed anche nel mondo fisico, quando l’uomo deve rinunciare a qualsiasi piacere, ciò si chiama “ighia”. Per esempio, un uomo che ama il riposo e per un motivo qualsiasi o per necessità, rinuncia al suo riposo ed va e compie una data cosa. Ciò si chiama “ighia”.

Inoltre egli ci mostra come, il “ramo fisico”, quando riceve il compenso, dove mette le sue radici nei Mondi Superiori. Egli ci mostra che la radice del compenso si estende dalla Luce riflessa, che a sua volta è il desiderio di dazione, originato dal “zivug deaccaha” (unione non diretta dove la Luce viene rinviata) attuato tra la Luce Superiore e lo schermo ed il desiderio di ricevere ( Taas –parte Dalet); e lì è scritto: “la Luce riflessa che riveste nasce da due forze”. La questione del “zivug deaccahà”, nella spiritualità si ha quando due cose sono contrari uno all’altro.

Esaminiamo questa “accahà”, dove la questione è che da un lato egli desidera ardentemente tutto ciò, poichè si rende conto che potrebbe ricavare un grande piacere, ma d’altra parte egli rinuncia e non riceve il tutto dato che desidera l’equivalenza della forma.

Abbiamo qui dunque due desideri:

1)    Desidera ricevere piaceri

2)    Desidera l’equivalenza della forma

E da queste due cose nasce una (terza) cosa nuova ”La luce riflessa che riveste”

Con questa forza egli può, in seguito, ricevere la Profusione Superiore in quanto, questa Luce riflessa, è il vaso adatto a ricevere l’abbondanza. Vale a dire che questo vaso ha due cose:

1)    Riceve le delizie che si trovano nella Profusione Superiore e che provengono dal Pensiero Divino, ovvero deliziare le sue creature.

2)    E nello stesso tempo si ritrova nell’equivalenza della forma che è la fase “bet” (seconda fase) quando riceve la dazione. Dunque possiamo vedere, dal summenzionato, che tutto il compenso è (unicamente) Luce riflessa ed è la forza della dazione che il (livello) inferiore riceve dal (livello) Superiore, che egli chiama “Luce riflessa”, significando (con ciò), quello che l’inferiore dà al Superiore.

Intendendo (con ciò) che la dazione, data dal Creatore, viene chiamata “Luce diretta”. Secondo quanto è scritto: “ed il Creatore creò l’uomo diretto(retto)”. Vale a dire, come (già) studiato, che il pensiero Divino fu quello di deliziare le sue creature.

Quindi gli inferiori ricevano l’abbondanza . Questo si chiama “diretto”

Ma, coloro che ricevono l’abbondanza, vogliono anche l’equivalenza della forma, perciò abbiamo la correzione chiamata “Luce riflessa”. Cioè colui che riceve l’abbondanza non la riceve per il proprio piacere ma perché desidera donare al Superiore.

Questo vuol dire che come il Superiore desidera che colui che riceve, sia colmo di piaceri ed altrettanto (desidera) colui che riceve le donazioni; intendendo, egli, ricambiare le delizie con Colui che dona, perché il Superiore possa goderne ed i suoi pensieri siano colmi di Lui (ed a Lui vadano i suoi pensieri)

Di conseguenza, l’essenza del compenso é la Luce riflessa, cioè la forza della dazione, quello che l’inferiore riceve dal Superiore.

Però occorre capire perché diciamo che il “Kli” chiamato “forza della dazione”, é tutto il compenso. Eppure il compenso significa qualcosa che si riceve, come si dice: “lavoro per ricevere un compenso”, E come si dice, il fine della creazione è deliziare le Sue creature, cioè (in definitiva) ricevere un compenso. Qui (invece) diciamo, che il compenso è chiamato “la forza della dazione”; e da ciò capiamo che il compenso deve essere (inteso) che l’uomo consegue il Creatore ed i segreti della Torà, etc. Ma egli cosa dice? Che il compenso è nel fatto che conseguiamo la forza della donazione, cioè la “forza della dazione”. E vien detto ancora che proviene dalla radice Superiore e vien chiamata “Luce riflessa”; così secondo il principio noto “più di quanto il vitello vuol poppare, la mucca vuol allattare”.

Quindi ne consegue, che il Creatore vuol dare alle creature più di quanto esse vogliano ricevere. Ma chi preclude? Bisogna dunque ricordarsi la questione della restrizione, che fu , ed è (tuttora la causa) per la quale le creature trovano un interesse nell’equivalenza della forma. Ed è una correzione, affinché non si verifichi “nehama decasufa” (aramaico- il pane dell’onta) originato dalla nostra radice.

Essendo il Creatore la manifestazione della donazione e non, Dio non voglia, della ricezione; non avendo Egli (alcuna) mancanza e quindi (alcun) interesse di ricevere. Quindi secondo il principio della nostra natura, ogni ramo vuol eguagliare la sua radice; Di conseguenza, quando l’inferiore deve compiere qualche azione che non si trova nella radice, egli prova disagio.

Si deduce da ciò che l’abbondanza è Luce e gioia; per questa cosa l’uomo non deve compiere nessun’azione. Egli la riceverà, come sopra citato, poiché più di quanto la creatura vuol ricevere il Creatore gli vuol dare. Ma, come sopraindicato, la creatura non ha il “Kli” per godere delle gioie che gli saranno date, per il motivo dell’onta, come già accennato. Ne consegue che tutto il nostro compenso, tutto quello che ci manca, è il “Kli” chiamato: “forza della dazione”, poiché solo i “Kelim” (vasi-desideri) ci mancano e non le Luci.

Ne consegue da ciò che, l’essenza del compenso, è la forza della dazione .

Ma per conseguire questo “Kli” chiamato “desiderio di dazione”, occorre avere il desiderio, cioè, sentire la mancanza di questo “Kli”. Perciò bisogna impegnarsi nella Torà e nei Precetti prima “non in Suo nome”, (questa) é la nostra “ighia” dove scopriamo che qualunque cosa noi si faccia é sempre a nostro beneficio senza alcun intento di dazione. Allora scopriamo che ci manca la forza della dazione e vogliamo ricevere il compenso del nostro lavoro, (cioè) che il Creatore ci dia questo compenso che é il desiderio di donare. E quando avremo questa forza, potremo ricevere gioia e delizia, gia pronte, per le quali non dovremo lavorare, poiché ciò verrà dato dal Creatore. Occorre solo che l’uomo si elevi sempre, gradino per gradino, e riesca a conseguire ogni volta, solo la forza della dazione, poi niente più gli mancherà.

GLOSSARIO semplificato

dei termini studiati al corso

600.000 anime: frammenti dell’unica creazione, dell’anima generale chiamata “Adamo”. E’ una qualità della connessione.

Adam HaRishon: (Adamo) l’anima creata in principio prima della frammentazione. E’ la prima struttura che ha il desiderio di assomigliare al Borè.

Anima: La creatura, il desiderio originale che è stato creato.

Ari: L’abbreviazione di Ashkenazi Rav Yitzhak, il nome completo è Yitzhak Luria Ashkenazi (1534 – 1572). Il fondatore della Scuola Lurianica di Kabbalah, il metodo moderno per il raggiungimento del Mondo Superiore (XVI sec.).

Baal HaSulam: Il secondo nome di Yehuda Leib HaLevi Ashlag (1884 – 1954). L’autore del metodo moderno per il raggiungimento del Mondo Superiore, l’autore del commentario dello Zohar e tutti i lavori di Ari.

Binà:  la fase 2 della creazione, proprietà di dazione nella creazione.

Borè: significa Creatore e deriva dall’ebraico Bo-re (vieni e vedi-verifica).  Non è qualcosa di cui avere fede, è la forza dell’amore e della dazione.

Chochmà: (Saggezza) è la fase 1 della creazione.

Corpo: (Guf) sono i desideri che eseguono le intenzioni del Rosh del Parzuf.

Correzione: (Tikkun) cambiare l’intenzione del desiderio di ricevere per modificare la percezione della realtà.

Creatura: deriva dalla parola ebraica Nivrà che vuol dire fuori dal grado, cioè che non ha ancora conseguito la realtà spirituale.

Desiderio: il motore sia della vita biologica sia della vita spirituale.

Divinità: desiderio speciale di conseguire la Fonte di tutta la vita.

Egitto: desiderio di ricevere egoistico.

Ein Od Milvado: significa non esiste nulla tranne Lui.

Incarnazione: ciclo che fa l’anima in ogni gradino spirituale, anche nella stessa vita.

Israele: combinazione di 2 parole Yashar-El e significa dritto al Borè. Coloro che hanno il desiderio di conseguire la dazione si chiamano Israele.

Kabbalah: saggezza della ricezione del bene.

Keter: (Corona) detta fase radice, fase zero. E’ l’essenza del Divino, della dazione e dell’amore.

Kli: vaso, desiderio (plurale Kelim).

Luce: il piacere, il conseguimento del desiderio di dare.

Malchut: (Regno) è la quarta e ultima fase dello sviluppo del desiderio di ricevere.

Mitzvah: (precetto, plurale Mitzvot), comandamento. Ogni atto che mi avvicina alla realtà dell’anima di Adam HaRishon. E’ la correzione del cuore.

Mondo spirituale: realtà che è fuori dal nostro mondo e dalla nostra natura.

Nazioni del mondo: sono tutti i desideri comuni.

Neshamà: è l’anima in ebraico.

Olam: significa mondo e deriva dalla parola Alamà (occultamento).

Parlante: è l’Adamo che è in noi, il punto nel cuore

Partzuf: Struttura spirituale che consiste in dieci Sefirot.

Pitcha: in ebraico significa prefazione. E’ l’introduzione alla struttura dei mondi superiori.

Punto nel cuore: un desiderio nuovo per la spiritualità, desiderio di dare.

Rabash: Abbreviazione del Rav Baruch Shalom, nome completo Baruch Shalom HaLevi Ashlag  (1906 – 1991), l’autore del libro “ Shlavey Sulam” (“ I gradini della scala” in ebraico) – una descrizione dettagliata dell’ascesa dell’uomo al mondo Spirituale.

Rashbi: Rabbi Shimon Bar Yochai, l’autore dello Zohar (III sec. A. C. ).

Radice: è il conseguimento finale dei kabbalisti, la sorgente di tutti i conseguimenti. La dazione, il desiderio di dare.

Ramo: è il desiderio di ricevere.

Rosh: è il capo, la testa del Partzuf, dove ci sono le intenzioni.

Santità: (Kedushà) deriva dalla parola Kadosh (distinto e separato dall’ego).

Sefira: (plurale Sefirot) è l’ego corretto ad un certo livello, in un certo modo. Quindi, risplende ed è chiamato Sefirot (che viene dal termine ebraico “sapphire”) luminoso.

Spiritualità: la forza della dazione

Torah: significa luce (dalla parola Horaa che significa “Insegnamenti”, o dalla parola Ohr “Luce”). E’ un testo che esprime le correzioni che bisogna fare nel desiderio di ricevere.

Yud Hey Vav Hey: è il Tetragramma, il nome del Borè. È l’algoritmo, il calco di tutta la creazione.

Zeir Anpin: (Piccolo Volto) è la fase 3 della creazione, ricevere al fine di dare, è una struttura spirituale già realizzata ma in forma piccola, non consapevole.

Zohar: libro dello splendore. E’ un testo fondamentale per la saggezza della Kabbalah, scritto da 10 kabbalisti che hanno conseguito pienamente questa saggezza.

Registrazione

Se hai già un Account fai il login qui

Corso gratuito La Kabbalah Rivelata

AUTORIZZO LA CESSIONE DIRITTO DI IMMAGINE:

Con la presente AUTORIZZO, a titolo gratuito e senza limiti di tempo, nel rispetto della normativa vigente, ivi compresi gli Artt. 96 e 97 L. 22.04.1941, N. 633 ( L. sul diritto d’autore ), la registrazione on line su piattaforma zoom e/o similari e la trasmissione in diretta ovvero la pubblicazione del materiale fotografico ed audio/visivo, inclusi eventuali Avatar, che lo/a riguarda all’interno dei social e dei siti Internet che fanno o faranno capo all Associazione e/o dalla stessa utilizzati a fini divulgativi e/o promozionali, delle pagine Facebook e Instagram dell Associazione ed all’interno di eventuali riviste e/o supporti cartacei e/o multimediali del medesimo tipo, nonché sul canale Youtube, consapevole che i predetti siti sono soggetti ad indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Acconsento, inoltre, alla eventuale modifica delle immagini per esigenze tecniche, nonché all’utilizzo ed alla pubblicazione dei contenuti audio/visivi e di quelli resi in forma scritta, in modalità ridotta e o tradotti in altre lingue.

 PRESTO IL CONSENSO: I dati personali (immagini, foto e riprese audio-video) oggetto di cessione potranno essere trattati per attività di comunicazione, iniziative pubblicitarie che riguardano la presentazione dell’Associazione e della sue offerte formative, per pubblicazioni sia cartacee che sul proprio sito web e nei canali social istituzionali (Facebook, Twitter, Instagram, Youtube e similari).